Funamboli di sogni

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– Ugo Mulas, Alexander Calder, Sache, 1963 –

Cosa è teatro? E’ germinare della polifonia: scrittori, attori, registi, scenografi, sarti, ballerini, elettricisti e poi il pubblico, una platea per antonomasia. Come non rimanere ammaliati dalla possibilità di sperimentare ogni posizione menzionata? Non son molti gli uomini che hanno la sensibilità per questa letteratura leggibile sempre in modo parziale, rapida più che quando viene messa in scena, ancora meno i coraggiosi che provano a donarla e giocarla. Proprio la dimensione del gioco è l’elemento più forte, sapersi divertire leggeri con ciò che si trova accanto: ora raccolgo bottiglie e statue dalle mensole e guarda come diventano soggetti, ora legno e ferro e compongo burattini. In questa origine riconosco la virtù di distruggere scultura come contemplazione: si muove ed è leggera come lo era il cuore che ha conservato questi due pupazzi e ancora è convinto essere tra i lavori più significativi. In effetti è difficile far comprendere quanta narrazione vi è in un singolo pezzo d’arte, quanto si è dialogato con se stessi per impostarlo e per concluderlo ma soprattutto per accettare che sia concluso: un burattinaio non ha questi problemi, ogni lavoro è un personaggio che rimane e lo fa con devozione, trascinato da mano invisibile e pronto a farsi protagonista agli occhi degli spettatori. Poi quel bisogno lirico di vedersi saltimbanco e distruggere la paura di Mangiafuoco lo sento così vicino che mi sembra di potermi vedere, con gli occhi lucidi sordo di applausi di giovani stelle.

Stefano G.

Aurora spenta nel volto

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-Michelangelo Buonarroti, Aurora, 1524-1527, Sagrestia Nuova, San Lorenzo, Firenze-

Aurora -sento risuonare esistenzialista “coin de rue”- c’era vento al tuo cospetto a trascinare fioche falangi fuori dall’orizzonte, a pulire il fronte da umidità fioccata tra questi longevi tronchi, a far sobbalzare le chiome nel disordine più ammaliante di sempre: annunciavano sereno – il morbido delle colline ed i pensieri  impacchettati in sfrangiate nuvolette, maliziose e passeggere. Cantano insieme questi nervi ricuciti a tendere paesaggio candido a sovrastare ogni tua parola – polvere dovrebbe stratificare i tuoi delicati risvegli gonfi di rose eppure vieni ripulita come queste pareti talvolta acuminate di restauri. Dietro un altare scompari come la Notte a cercare finestre e te – flottare di aria impolverata non ancora pietra, arsenico riveli la mia solitaria direzione e svoltato l’angolo tra panchine e bassi arbusti rivorrei attraversare vecchi incroci.

Stefano G.

 

Sol levante

 

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– Artista ignoto, 1880, Ama no Iwato (raffigurazione dell’apertura della grotta di Amaterasu-o-mi-kami) –

Passi su terra secca

son nodi documentari 

ove déi senza carattere disperano:

in lacrime tosto generano.

Cangiante divinità fuggiasca

la tua grotta è la nostra notte.

Mondo senza luce ritira e stagna

Fermento è il tuo sincopato raccapriccio.

Sole stelle son Sole senza carro

per l’uomo pallida aporia.

Solo cosciente di tua natura

gran riflesso fa luminoso riconoscerti:

 Amaterasu-ō-mi-kami

vergogna ti obbliga a trovarti!

Fuor di grotta il tuo sguardo

son ombre sottili in pieno giorno:

specchio sei lega di niente,

senza inclinazioni apri varchi

e noi danziamo senza armi

legati a nighittoso monile.

Stefano G.